La vicenda pandemica degli ultimi due anni ha segnato un cambio epocale nella vita quotidiana di ciascuno:nessuno ne è rimasto esente, dalle amministrazioni pubbliche, alle imprese, ai professionisti, ai lavoratori, alle famiglie. Il nuovo stile di vita che ne è conseguito ha innescato la ricerca di nuove dimensioni, per il lavoro, per lo studio, per le vacanze, facendo emergere in modo mai così evidente la realtà diffusa dei nuovi abitanti del mondo, dai “nomadi digitali” ai “retired”, dagli “smart worker” agli “hybrid student”: un popolo nuovo, che immagina modi e luoghi differenti dell’abitare e del vivere, dove far ripartire una nuova esistenza, caratterizzata da implicazioni del tutto inusuali, tanto per il cittadino quanto per il territorio che lo ospiterà.La vicenda pandemica degli ultimi due anni ha segnato un cambio epocale nella vita quotidiana di ciascuno:
Rispetto ad un simile scenario, ad un tale processo di epocale e rapido cambiamento, in cui saranno forti le contaminazioni fra nuovi e vecchi abitanti e dove sarà determinante anche una reciproca mutazione per far crescere l’integrazione sociale ed economica dei territori di riferimento, l’urbanistica non può fare a meno di
affrontare le inedite e complesse sfide che l’attendono. In quest’ottica, è facile prevedere come il concetto di “rigenerazione” si riferirà verosimilmente, nell’immediato futuro, sempre meno agli agglomerati urbani e sempre più al contrasto dei fenomeni di degrado e spopolamento dei piccoli centri, per la maggior parte collocati nelle aree interne del nostro Paese: di assoluto rilievo, al riguardo, è la Legge 8 ottobre 2017 n. 158 recante «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici», che ha inquadrato il tema dello spopolamento di vaste aree del nostro territorio nell’ambito di una strategia di generale rigenerazione dei centri minori.
È qui che si innesta il tema specialistico della “microrigenerazione”, la quale potrebbe configurarsi come «attività esecutiva della pianificazione complessa, informata da una specifica visione strategica di valorizzazione delle piccole realtà attraverso piani e programmi dedicati» – che si sta imponendo, in modo crescente, all’attenzione del legislatore nazionale e regionale e delle comunità locali – sostenuta dai quattro pilastri di quello che sarà il nuovo modo di abitare e di vivere: sostenibilità, resilienza, territorio, accoglienza.
La sostenibilità si configurerà come il motore intrinseco della microrigenerazione: essa riveste un carattere “sociale”, in quanto determina nuove forme di equilibrio e di inclusione, “economico”, rispetto ad una ripresa della circolazione diffusa del reddito, e “ambientale”, in ordine al contenimento dei consumi energetici e all’utilizzo di fonti rinnovabili. La resilienza si porrà alla base della rinascita dei territori spopolati dalle migrazioni dell’ultimo secolo, da quelle over-seas a quelle di promiscuità, che hanno dato vita al cosiddetto “urban sprawl” (cioè all’espansione disordinata ed invasiva delle città, accompagnata dal progressivo smarrimento del senso di appartenenza e di identificazione con i luoghi): tali territori oggi ritornano ad essere fonte di attrazione per un gran nmero di persone alla ricerca del lavoro o di nuovi spazi. Il territorio diventerà l’elemento fisico determinate, il luogo del ricevimento di tutte le nuove migrazioni, siano esse stabili o temporanee. Infine, l’accoglienza sarà il perno centrale delle interazioni fra i nuovi migranti: dall’accezione turistica a quella stabile e duratura della residenza.
Tuttavia, i tantissimi borghi e piccoli centri di cui è disseminato il nostro Paese non sono ancora pronti ad una tale sfida, a trasformarsi nella ‘confort zone’ dei nuovi abitanti: bisogna investire in credibilità e sostenibilità, in strutture ed infrastrutture, in imprese e risorse umane. Un’operazione molto più complessa di quanto si pensi, che non può più rispondere ad assetti di natura meramente turistica (o, ancor peggio, speculativa) ma che deve invece incentrarsi su quello che Pier Luigi Cervellati ha acutamente definito il «fenomeno inverso della migrazione stabile», che riguarda, allo stato, il crescente abbandono delle aree metropolitane da parte di quanti cercano una nuova residenza, una nuova comunità e, soprattutto, un’accoglienza diversa in tutte le sue sfaccettature: sarà soprattutto a queste nuove esigenze che l’urbanistica dei nostri tempi dovrà fornire risposte convincenti.
Per quanto ci riguarda, ciò appare ancor più vero quando ci si riferisca alla nostra provincia, caratterizzata sì da una conformazione territoriale a sviluppo lineare ma ricca, nel contempo, di realtà che differiscono tra loro, spesso enormemente, per caratteristiche morfologico-paesaggistiche, attrattive, storico-culturali e gastronomiche.
Né mai – e ciò ci preme sottolinearlo con particolare forza – un simile recupero dei territori periferici potrà attuarsi affidandosi a disastrose operazioni, episodiche, autoreferenziali e fuori scala, come quelle che, da alcuni anni, stanno interessando la fascia litoranea a sud di Salerno, le quali non seguono nessuna delle due direttrici associate alla più consapevole e moderna rigenerazione urbanistica, non tenendo conto della dimensione strategica, che potrebbe definirsi della “macrorigenerazione”, nella quale svolge un ruolo di assoluto rilievo la pianificazione di natura complessa, né, appunto, dell’altra, definita della “microrigenerazione”, nella quale la pianificazione opera invece nell’ottica della «ritessitura territoriale», dove emergono anche istituti propri del partenariato sociale, volti ad incentivare costantemente forme di dialogo e collaborazione fra la pubblica amministrazione e la cittadinanza attraverso la realizzazione di interventi partecipati di riqualificazione degli spazi urbani.
“Ayrton”
